Appunti sparsi sulla "fase" cinese
Quali strategie per aumentare la domanda interna? Verso un nuovo welfare? Alcune coordinate
Mi è stato inoltrato da Christian Marazzi questo articolo di Martin Wolf, che è chief economics commentator del Financial Times (lo riporto anche in immagine per chi non riuscisse ad aggirare il paywall)
https://www.ft.com/content/58bb9713-2d71-4a50-b825-f7213907491b
Ne è scaturita una interessante discussione.
Personalmente, Sono abbastanza d’accordo con l’articolo, al di là di alcune sfumature direi quasi linguistiche (per esempio, su cosa sia conservatore e cosa no). C’è solo un punto su cui secondo me si è fatta troppa retorica e che rischia di banalizzare la Cina: il fatto che il patto sociale tra Partito-Stato e popolo si basi esclusivamente sulla promessa di benessere (per te o per i tuoi figli). Cioè, l’idea per cui tutto si regge sulla crescita economica; quando finisce, tac! scatta immediatamente la rivoluzione.
In realtà è tutto molto più articolato, c’è un codice comune tra il Partito e il popolo, al di là del fatto che non è “sopra” bensì “dentro” la società. Cioè, nella vita quotidiana il Partito non è Xi Jinping, che è qualcosa di inafferrabile, tipo imperatore celeste, e di cui alla gente frega anche abbastanza poco (il culto della personalità per un personaggio che non è né un intellettuale né un carismatico è la norma a cui il Partito richiede di attenersi e che i cinesi non necessariamente si bevono, ma che serve loro per riposizionarsi); bensì il vecchietto tuo vicino di casa che organizza la ginnastica per anziani nella comunità residenziale, mette su una squadra di volontari per fare le pulizie straordinarie e nei momenti di eccezionalità magari chiude i cancelli e attacca gli avvisi per la prevenzione anti Covid.
Sì, il Partito è sia “sopra” sia “dentro” e non solo e neanche principalmente in forma di controllo tipo “tutti che spiano tutti”.
Diciamo che è il retaggio delle pratiche rivoluzionarie dei quadri all’interno della società, e tutto questo diventa accelerazione/mobilitazione nel momento eccezionale: può essere una crisi (Covid, terremoto, etc) ma anche una cosa “positiva” (Olimpiadi, etc).
Un altro punto che va sottolineato è che, al di là dei problemi strutturali e atavici (le bolle speculative), di cui non si capisce bene quale sia la via d’uscita (Michael Pettis dice da anni che bisogna trasferire ricchezza alle famiglie e che all’inizio sarà per forza doloroso, ma ci torneremo), alcuni degli elementi di crisi attuali sono stati in qualche modo “voluti” dalle autorità: ad esempio, lo stop alla bolla immobiliare è stato generato dalle autorità, che nel 29020 hanno varato nuove norme di precauzione finanziaria (le tre “linee rosse”) che hanno mandato Evergrande a gambe all’aria (ne scrivevo/parlavo qui: https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/09/20/la-crisi-di-evergrande-e-lo-spettro-lehman-brothers-per-leconomia-della-cina-governo-al-bivio-tra-soccorrere-gli-speculatori-del-mattone-e-far-scoppiare-la-bolla/6325543/ e anche qui: https://www.infoaut.org/conflitti-globali/cina-pechino-alla-prova-della-bolla-immobiliare-evergrande).
Dunque, siamo di fronte a una situazione che sta sfuggendo di mano o a un rischio calcolato?
Di recente, Zhang Jun, preside del dipartimento di economia dell'università Fudan di Shanghai (una delle più prestigiose) è uscito pubblicamente con queste opinioni su come rilanciare l'economia.
Di fatto, è la prima volta a memoria del sottoscritto che una voce così autorevole rompe il mantra delle riforme sul piano dell'offerta (supply-side) e sposa invece la tesi "riformista" - se non welfarista - della necessità di trasferire ricchezza alle famiglie per incentivare i consumi. Il fatto che esca pubblicamente e che sia ampiamente rilanciato, potrebbe significare a mio avviso che qualcosa bolle in pentola, anche Xi Jinping sta parlando in questi giorni della necessità di "riforme" per promuovere le "nuove forze produttive qualitative" (definizione che è appena entrata nella terminologia ufficiale e su cui tornerò in altro post, perché se no qui la faccio troppo lunga).
In sostanza, Zhang Jun propone: aumentare i redditi reali delle famiglie, fare degli "swap" tra governi locali e centrali per quanto riguarda il debito (i governi locali cinesi sono cronicamente indebitati, presumo che proponga al governo centrale di accollarsi questo debito o di fare qualche riforma fiscale), spingere sulla crescita dei salari nominali; a cui però aggiunge la necessità di una maggiore liberalizzazione del mercato.
A me sembra che tutto spinga verso la tesi di Pettis per cui bisogna trasferire ricchezza 1) dai settori perennemente sussidiati al consumo delle famiglie e, 2) dalle grandi imprese di Stato (considerate inefficienti nonché ricettacolo di corruzione e favoritismi) al settore privato: una maggiore liberalizzazione del mercato.
Eh, come? Aspetta un po’! Come ben sappiamo dalle nostre parti, non necessariamente - anzi, quasi mai - le due cose vanno insieme. Cioè, quasi mai la liberalizzazione di mercato coincide con una maggiore ricchezza per le famiglie e quindi con un miglioramento delle condizioni di vita.
Andrea Fumagalli mi spiega a stretto giro che:
Credo che il concetto di liberalizzazione di mercato in Cina abbia un significato diverso che in occidente. Presumo che per la Cina la liberalizzazione di mercato significhi inglobare qualche capitale privato in una governance manageriale comunque imposta da direttive statali e finalizzata a un certo seppur minimo rendimento.
Da noi, la liberalizzazione coincide con l'adozione del New Public Management, ovvero una governance che segue la logica del profitto privato anche se la maggioranza azionaria è pubblica. (oggi leggevo che Enel nel 2023 ha fatto ben 6,5 miliardi di profitti....) . Mi sembrano due situazioni rovesciate. In Cina la logica pubblica prevale su quella privata, in Occidente l'opposto.
Nell'Occidente capitalistico , liberalizzazione di mercato (ovvero profitto) e benessere collettivo non vanno di pari passo. In Cina? Credo che sia il loro obiettivo. E' realistico?
Christian Marazzi sostiene che, in questo senso, un rilancio keynesiano può conciliarsi paradossalmente con una certa libertà di mercato.
Un altro problema enorme è che sono anni che in Cina non sanno bene come farlo questo keynesismo.
Da un lato stiamo oggettivamente parlando di un gigante demografico (e come fai il servizio sanitario e le pensioni per tutta quella gente?); e poi, veicolare le risorse che adesso vanno alle grandi imprese di stato verso le famiglie (per aumentare i consumi) e verso il settore privato (che per altro a volte non è che sia così efficiente, ricordo almeno due crisi locali delle piccole imprese negli ultimi 15 anni), implica una transizione dolorosa fatta di licenziamenti di massa, che anche Pettis ritiene inevitabile.
Quindi? Appare abbastanza chiaro che per il momento la Cina stia puntando su altro, per esempio sul salto tecnologico.
Ed è per questo che gli Usa le fanno la guerra lì.
Sta anche puntando a crearsi un nuovo “sistema tributario-commerciale sinocentrico” attraverso la Nuova Via della Seta, cioè un sistema come quello che descrivono bene Giovanni Arrighi e Beverly Silver in Caos e governo del mondo (Mimesis, 2024) sull’onda delle ricerche di Takeshi Hamashita.
Ed è per questo che gli Usa puntano invece a isolarla internazionalmente.
Per opporvisi, la Cina guarda di nuovo parecchio al sud globale, giocandosi un’ambivalenza unica al mondo che ha solo lei: è sia imperiale (non necessariamente o non sempre imperialista) sia post-coloniale.
Questa ambivalenza cinese la induce, a seconda delle circostanze, a sedersi alternativamente al tavolo dei potenti o al tavolo del Sud globale, cioè degli ex colonizzati con cui condivide una fetta di storia.
Il che ha anche esiti divertenti:
Lunedì 25 marzo:
mentre al Consiglio di Sicurezza dell’Onu passa una risoluzione su Gaza promossa dal Mozambico e da altri 9 membri non permanenti che di fatto è una vittoria di Cina e Russia nei confronti di Stati Uniti e UK, il presidente Xi Jinping incontra a Pechino in rapida successione: il signor David Adeang, presidente di Nauru (sapete dov'è? È un'isola composta interamente da fosfati, a nord delle Isole Salomone, in Micronesia, 21kmq, 12.500 abitanti); il signor Roosevelt Skerrit, Primo ministro di Dominica (no, non è la repubblica Dominicana, bensì un'isola caraibica che si trova tra Martinica e Guadalupa, 750kmq, 72mila abitanti).
Xi dice al presidente di Nauru che «La Cina ha sempre sostenuto che tutti i paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, ricchi o poveri, sono membri alla pari della comunità internazionale. La Cina è sempre stata un membro del mondo in via di sviluppo e il voto della Cina nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite apparterrà sempre ai paesi in via di sviluppo. Il rapporto tra Cina e Nauru è basato sul rispetto reciproco, sull’uguaglianza, sul vantaggio reciproco e sul sostegno reciproco.»
Concetti simili sono comunicati al secondo ospite, in entrambi i casi segue la firma di accordi economico-commerciali.
Cioè, succede in contemporanea che la Cina incassi all’Onu la risoluzione su Gaza che più o meno voleva (tavolo dei potenti); e che il suo numero uno, il quasi-imperatore, incontri uno dopo l’altro i leader di NAURU e DOMINICA (tavolo del Sud globale). Due paesi che -presi insieme - hanno tanti abitanti quanto una comunità residenziale di Pechino.
Ma che sono isolotti ben posizionati (uno, come abbiamo detto, è anche pieno di fosfati).
Questo multipolarismo, teorizzato anche nella ripresa di antiche dottrine come il Tianxia, è in realtà il tentativo di riorganizzare il mondo in “sfere d’influenza” dove però non si vuole tanto creare un’egemonia culturale (alla Gramsci) e tanto meno un dominio di tipo neocoloniale (come lo descrivono Arrighi-Silver), quanto una rete commerciale simile a quella delle vecchie città-stato-porti commerciali.
E quanto al rilancio della domanda interna?
Eh, infatti, a Pechino hanno il mal di testa per il tentativo di pompare la domanda interna.
Nel 2020 hanno sancito la fine della povertà nera; cioè tradotto, la creazione di un mercato interno a cui aggiungere 600 milioni di nuovi potenziali consumatori. Poi però si sono scontrati con il Covid, con il fatto che questi nuovi 600 milioni - in fase di precarietà - sono sempre lì lì per tornare sotto il livello di povertà.
E il punto fondamentale è che in assenza di un welfare compiuto, i cinesi o investono nell’immobiliare o risparmiano. Ma l’immobiliare non lo vogliamo più perché crea la bolla.
Si prefigura allora l’introduzione di qualche forma di reddito di base? mi chiede Marazzi
Non mi risulta che ci sia un dibattito del genere in corso (se ci fosse, mi piacerebbe scoprirlo); piuttosto si creano lavori fittizi alla Bertinotti (infrastrutture), oppure si ritarda l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Hanno provato a creare formule di “reddito antipovertà” durante il Covid, tipo dei voucher per le famiglie finalizzati a comprare beni di prima necessità, ma non mi pare abbiano avuto successo dirompente.
Ah, e poi hanno obbligato le grandi imprese high-tech a creare fondazioni e charity per veicolare le risorse verso obiettivi specifici: tipo la povertà nelle campagne, il sostegno degli anziani etc etc.
Personalmente, credo che stiano puntando tutto sulla creazione di nuovi lavori e nuovi prodotti legati all’innovazione, ma la domanda resta sempre lì: come rilanciare la crescita, in un’epoca in cui l’asse Cina-Usa si è rotto e Washington ha esplicitamente iniziarto una nuova guerra fredda?
Queste, come premesso, erano solo alcune coordinate.