Seeking Chung Kuo
Quando nel 2018 feci l'attore, o forse il giornalista, o forse il propagandista, o forse il pupazzo in Cina. Non l'ho ancora capito, ma la Cina è bella proprio per questo
L’ho trovato casualmente su YouTube e mi sono accorto che la casa di produzione Sanduotang (三多堂) l’ha messo sulla piattaforma video già da quattro anni.
Si intitola in inglese “Seeking China” (寻找〈中国〉 - Xunzhao “Zhongguo”) e fa parte di una serie di quattro documentari intitolata “From “China” to China” (从〈中国〉到中国 - Cong “Zhongguo” dao Zhongguo); è la storia di un giornalista italiano che si mette sulle tracce di Michelangelo Antonioni e del suo film “Chung Kuo” del 1972, ripercorrendo gli stessi itinerari e incontrando la stessa gente (quella sopravvissuta).
Indovinate chi era il giornalista italiano?
Fui contattato dalla casa di produzione pechinese nell’estate del 2018 tramite un’amica cinese. Avevano bisogno di un giornalista italiano (appunto) per quel progetto. Andai a parlare con loro un po’ speranzoso e un po’ dubbioso. Speranzoso perché avevo bisogno di lavorare (avevo da poco iniziato la collaborazione con la Radiotelevisione Svizzera ma il mio conto corrente era ancora in rosso) e perché l’idea di ripercorrere le tracce di Antonioni 46 anni dopo mi pareva bellissima. Dubbioso perché temevo di finire stritolato in un’operazione propagandistica cinese.
Feci la conoscenza di una squadra di ragazzi simpaticissimi, la troupe, e mi offrirono anche un sacco di soldi, per quelli che erano i miei standard (mille euro sul conto corrente, con duemila di debiti).
Mi convinsi velocemente.
Mi convinsi soprattutto perché il regista, Liu Weifu, mi disse: “Vogliamo raccontare questa storia dalla parte della gente”. Me lo ricordo come se fosse oggi e me lo ricorderò per tutta la vita.
Sta di fatto che in quei gloriosi venti giorni ho trovato degli amici, più che dei colleghi.
Andammo in giro per la Cina, incontrando persone magnifiche e meno magnifiche, e come succede sempre con i progetti cinesi tutto cambiò, si aggiustò, si trasformò in corso d’opera. Per esempio, il documentario nacque come prodotto destinato all’estero (all’Italia in particolare), poi decisero che era solo per il pubblico cinese, infine tornò ad essere merce d’esportazione. Ecco la legge del 差不多 - chabuduo - “più o meno”.
Comunque, la storia di quell’esperienza la trovate raccontata qui da Junko Terao, che venne appositamente come inviata di Internazionale.
Io ho narrato quattro episodi di quel viaggio per il sito web della Rsi, con il titolo “La Cina, 46 anni dopo”. Scelsi di incentrarli soprattutto sulle persone che avevo incontrato:
Poi, in post-produzione successe di tutto.
Mi ritrovai dei testi di cui correggere la traduzione - non il contenuto - chiesi di che cosa si trattasse e scoprii che quelli sarebbero stati i miei pensieri durante il viaggio (quelli che si sentono in voice-over); feci una specie di battaglia interna e li convinsi ad aggiustare alcune cose che - spiegai - a un pubblico italiano sarebbero apparse troppo retoriche, anzi ridicole: roba tipo “solo l’eroico sacrificio del popolo cinese ha reso possibile quest’opera eccezionale” (capite? Detto da me). Poi i boss ai piani alti della casa di produzione decisero di tagliare gli episodi più controversi facendo infuriare Liu Weifu; infine decisero di affrettare l’uscita del documentario perché Xi Jinping era in visita di Stato in Italia (marzo 2019) e avrebbe assolutamente dovuto essere proiettato in prima mondiale a Roma proprio in quei giorni, anche se la traduzione e i sottotitoli erano solo provvisori. E così fu.
Il documentario fu proiettato anche all’ambasciata italiana di Pechino e io feci tantissimi selfie con i fan cinesi. Andò anche in prima serata sulla televisione di Stato, la CCTV, e per un certo periodo feci l’esperienza di essere fermato per strada da 老百姓 - laobaixing - la gente comune, che mi chiedeva se io fossi QUEL Lao Gao.
Per me resta un’esperienza bellissima, non solo per il viaggio e le amicizie, le chiacchiere e le confidenze dietro le quinte, le situazioni commoventi o grottesche, ma perché mi ha fatto capire un po’ di più come funzionano le cose in quel paese eccezionale.